E mentre gli addetti ai lavori (accademici e non) continuano a dannarsi l’anima dibattendo senza tregua delle capacità artistiche di Allevi, il fatto che la Fondazione Musica Per Roma abbia rinnovato la “residenza artistica” a Ludovico Einaudi, permettendogli di «concepire e realizzare nuove produzioni ad hoc per l’Auditorium Parco della Musica» passa completamente inosservato.
Dopo “The elements” (omaggio a Luciano Berio, in collaborazione con Robert Lippok) stasera alle 21 è il turno di “In a time lapse”, l’esecuzione dei brani dell’ultimo lavoro discografico del compositore torinese, sul palco della Sala Santa Cecilia con un ensemble di undici musicisti fra archi, percussioni e live electronics. Sembra una cosa seria, la possibilità per un grande artista di portare in scena opere personali dall’inestimabile valore musicale.
Ma chi è veramente Ludovico Einaudi? Sebbene in molti si spertichino in complimenti per la poeticità delle sue melodie, per le profonde riflessioni che queste possono evocare, per la nobiltà delle sue composizioni (che in verita oscillano tra il peggior minimalismo, quello dei quattro accordi e via, e una accattivante new age all’acqua di rose), Einaudi rimane null’altro che un pianista dalla lacrima facile che con grande lungimiranza e riuscito a evitare quell’infinita e feroce querelle che da anni ormai attanaglia il povero riccioluto Giovanni di cui sopra.
E non sara una spolveratina di elettronica very cool o qualche citazioncina folk qui e là - come nel caso del suo nuovo album - a salvarlo dal ruolo di tritagonadi minimal-contemporaneo cui assurse dai primi lavori. A molti comunque piace, perché ispira e commuove. E questa sembra essere l’unica cosa importante. Importante almeno quanto munirsi di fazzolettini ad ogni suo concerto.
Lo.Ga.