«Sono influenzato dai fumetti, dai giocattoli, dalle pubblicità e dalle confezioni che vedo al supermarket». E’ un “artista delle cose semplici” David Gerstein, in mostra alla galleria Ermanno Tedeschi fino al 31 gennaio in quella che si presenta come una retrospettiva completa della sua opera.
Che invece è a dir poco meticolosa. E innovativa pur affondando le radici addirittura nell’antico Egitto, dove tuttora «osservando le sculture faraoniche che sembrano dipinti» il pittore israeliano s’è reso conto che il suo modus operandi «ha una lunga tradizione di artisti dimenticati di almeno 5mila anni nel tempo». Gerstein opera su di un campo neutro, sospeso in un limbo tra pittura e scultura. «Per essere più precisi» ama specificare «appartengo alla seconda tradizione di artisti popolari che stanno continuando l’idea di colmare il divario tra arte classica e popolare».
O meglio tra vita e interpretazione creativa di essa. Perchè le opere di David sono lo specchio della nostra corsa quotidiana al consumo e al piacere. I suoi sono dipinti 3D che si espandono nello spazio. Autentiche “sculture da parete”, per lo più fatte di metallo tagliato al laser, pennellate a mano con colori vivaci e vibranti. Lo stile è pop, il messaggio ricorda quello di Andy Warhol, la figurazione Boccioni e il Futurismo dei primi del Novecento.
Eppure questo maestro di Gerusalemme rimane unico nel suo genere. Perchè quando ritaglia sagome e forme ricorda suo padre, «che era un tagliatore di pelli; aveva un laboratorio per il taglio del cuoio e sovente lo aiutavo». E perchè s’ispira alla sua infanzia, «a mia madre, a cavallo con la gonna al vento, e alle mucche che i miei nonni hanno portato in città negli anni Quaranta».
Fra. Ga.