Corso Trieste, a due passi da piazza Istria, uno dei salotti buoni della città. Quasi attaccati, a separarli soltanto un paio di civici, due negozi dove i “clienti”, però, non entrano per acquistare ma per vendere. E gli “articoli” da mettere sul mercato non sono oggetti qualunque, ma merce preziosa, perlopiù gioielli il cui valore affettivo, spesso, va aldilà del loro peso e della loro caratura.
Il via vai nei due compro oro è costante, segno tangibile di una crisi che non risparmia nessuno e che costringe sempre più persone, loro malgrado, a vendere catenine, anelli, bracciali e qualunque altro monile che possa tradursi in denaro liquido con cui fare fronte alle spese. Le rate dell’auto, il mutuo di casa, le bollette delle utenze domestiche: i conti da onorare sono sempre più salati e, se con stipendi e pensioni non si riesce a far quadrare il bilancio, per molti non resta che giocarsi la carta degli ori di famiglia. Uno dei due negozi su corso Trieste fa parte di una catena piuttosto famosa che dispone di più sedi sparse per la città.
Apre alle 10.30, più tardi rispetto agli altri esercizi commerciali, ma quando verso le 12.30 una ragazza entra per chiedere la valutazione di un anello, il ragazzo che sta dietro un vetro blindato le comunica attraverso un microfono che i contanti sono finiti e che è in attesa di “rifornimenti”. Nel frattempo arriva un signore, abbigliamento casual e aspetto giovanile, che, infastidito dalla momentanea assenza di liquidi del negozio, batte in ritirata “suggerendo” al ragazzo dietro il vetro blindato di chiudere, «che stai aperto a fare se non hai i soldi», gli dice in tono piccato.
Dopo la valutazione dell’anello, la ragazza saluta e va via con un’espressione di delusione stampata sul viso. L’unica cosa che è riuscita a rimediare è il consiglio di rivolgersi al compro oro che sta poco più in là, «forse lì oltre all’oro prendono anche le pietre e ci guadagni qualcosa in più», sembra quasi volerla consolare il ragazzo dietro il vetro blindato. E così la via crucis prosegue e la “stazione” successiva, dove i contanti non mancano, è più affollata.
A dare il benvenuto ai clienti ci sono due sedie accanto a un tavolino dove è poggiato un mucchietto di riviste messe lì per ingannare il tempo mentre si attende il proprio turno. Un ambiente asettico che tenta timidamente di apparire accogliente e di mettere a proprio agio, come accade negli studi medici. E in questo caso la “malattia” alla quale si cerca rimedio è quella povertà latente ma strisciante che si fa fatica ad ammettere prima di tutto con se stessi. Un’anziana sta in piedi accanto a un carrellino della spesa e, quando arriva il suo turno, lo apre e dentro non c’è il carico del supermercato ma pezzi di argenteria.
La somma che il compro oro le offre non è granché, ma l’anziana l’accetta ugualmente: fornisce il documento d’identità, firma un modulo che ha il valore di un contratto di vendita, saluta, volta le spalle e si allontana con il carrello vuoto ma qualche soldo in più nel portafogli. In zona di compro oro ce ne sono parecchi. Basta spingersi verso viale Eritrea, dove comincia il quartiere Africano, per rendersene conto: all’inizio della strada che parte da piazza Annibaliano un enorme cartello segnala la presenza poco distante di un altro compro oro che garantisce, manco a dirlo, la massima valutazione. Un’attività protagonista negli ultimi anni di un vero e proprio boom. «Dal 2011 al 2012 a Roma – afferma Pietro Bassotti, presidente del Codacons Lazio – si è registrato un incremento del 20% di questi esercizi commerciali. E si tratta di un dato in continua crescita. Per avere un’idea del fenomeno, basta considerare che nel 2010 il rapporto era di un compro oro ogni 13mila abitanti mentre nel 2012 è salito a uno ogni 6- 7mila abitanti».
A determinare il boom, secondo Bassotti, sono diversi fattori: «Da una parte la crisi economica e l’aumento delle quotazioni dell’oro, che negli ultimi cinque anni ha raggiunto il +160%, e dall’altra la facilità con cui si ottengono le licenze rilasciate dalle procure territorialmente competenti. A ciò – sottolinea Bassotti – si aggiungono le agevolazioni di cui godono le aziende che già operano nel settore e che, grazie alla formula del franchising, riescono ad aprire altri negozi più facilmente».
Ester Trevisan